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giovedì 26 febbraio 2015

L'atto di diniego emesso dall'Agenzia delle Entrate e da Equitalia è impugnabile (C.T.P. di Roma, n° 16911/2014)

L'atto di diniego emesso dalla Pubblica Amministrazione (Agenzia delle Entrate, Inps, ect.) o da Equitalia è impugnabile dal cittadino interessato (C.T.P. di Roma, n° 16911/2014)


Un cittadino/contribuente, il quale presenta una formale domanda scritta alla Pubblica  Amministrazione (ad esempio Inps, Agenzia delle Entrate ect.) oppure all'Ente della Riscossione (Equitalia), può impugnare il diniego emesso dagli stessi organi "interpellati".

La motivazione è la seguente: il diniego si qualifica come un "atto ritualmente impugnabile a determinare svantaggi fiscali nella sfera giuridico - patrimoniale del contribuente".
Dunque, un qualsiasi provvedimento "statale" che possa creare un danno alla sfera patrimoniale dell'interessato, può essere sottoposto al controllo del giudice.

  di Federico Marrucci
Avvocato Tributarista in Lucca e Pisa  (presso Studio Legale e Tributario Etruria)
 per maggiori informazioni www.studioetruria.com
 

giovedì 12 febbraio 2015

L'estratto di ruolo emesso da Equitalia, su richiesta del contribuente, è atto autonomamente impugnabile (1928/05/14 della C.T.P. di Caserta)



L'estratto di ruolo emesso da Equitalia, su richiesta del contribuente, è atto autonomamente impugnabile (1928/05/14 della C.T.P. di Caserta)
Attraverso la sopracitata pronuncia, si è voluto nuovamente affermare come l’estratto di ruolo, sebbene sia un atto interno dell’amministrazione, può essere legittimamente impugnato, senza che ciò comporti violazione dell’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992, qualora rappresenti l’unico strumento a mezzo del quale il contribuente venga posto ad effettiva conoscenza della pretesa tributaria, stante la mancata notifica delle relative cartelle di pagamento.
Equitalia S.p.A., a sostegno della propria difesa, eccepiva l’inammissibilità del ricorso introduttivo del contribuente escludendo in toto l’impugnabilità degli estratti di ruolo non essendo gli stessi espressamente contemplati dall’art. 19, D. Lgs. n. 546/1992. 

I Giudici aditi hanno così affrontato la delicata questione riguardante l’impugnabilità (o meno) dell’estratto di ruolo (emesso, su richiesta del contribuente/cittadino, presso lo sportello di Equitalia) davanti alla Commissione Tributaria (per debiti fiscali, ad esempio Iva, Ires, Irap, Irpef) oppure il Giudice del Lavoro (per debiti previdenziali/contributivi, ad esempio Inps, Inail).

Già la Corte di Cassazione si era espressa favorevolmente su siffatto quesito (sentenza n° 724 del 19 gennaio 2010 “in tema di contenzioso tributario, anche l'estratto di ruolo può essere oggetto di ricorso alla commissione tributaria, costituendo esso una parziale riproduzione del ruolo, cioè di uno degli atti considerati impugnabili dall'art. 19, D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546”; ordinanza n° 15946/2010; sentenza n° 27385/2008).

È legittimo pertanto ricomprendervi anche quelle “notizie”, documenti, atti amministrativi (anche interni), compresi i noti estratti di ruolo di Equitalia, i quali pur non rivestendo l'aspetto formale proprio di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili, portino comunque a conoscenza del contribuente di un debito con l’Amministrazione finanziaria.

Se dunque il contribuente non fosse messo nella condizione di impugnare gli estratti di ruolo di fronte ad una errata o inesistente notifica nei suoi confronti della cartella di pagamento, sorgerebbe una violazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.).

In breve, la pronuncia della C.T.P. di Caserta, collocandosi nel “solco” di una recente giurisprudenza di merito sullo stesso tema (C.T.P. di Bari, sentenza n° 27/09/13; C.T.P. di Frosinone, sentenza n° 65/05/14) ha precisato l’impugnabilità degli estratti di ruolo in tutte quelle ipotesi di omessa o irrituale notifica delle cartelle di pagamento, annullando, nel caso di specie, le medesime e dichiarando altresì prescritti i crediti ivi rappresentati.

  di Federico Marrucci
Avvocato Tributarista in Lucca e Pisa  (presso Studio Legale e Tributario Etruria)
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mercoledì 11 febbraio 2015

Anche in assenza dello sfratto, i canoni per “affitti” commerciali non devono essere dichiarati: è sufficiente una sentenza che accerti la morosità del conduttore (C.T.P. di Bergamo, n° 516/14)



Anche in assenza della convalida di sfratto, i canoni per “affitti” commerciali non devono essere dichiarati: è sufficiente una decisione giurisdizionale che accerti la morosità del conduttore (C.T.P. di Bergamo, n° 516/14)


Con una breve motivazione, i giudici lombardi – in tema di esclusione, o meno, circa l’assoggettabilità ad Irpef per i canoni locatizi commerciali non riscossi – hanno stabilito che è necessario “estendere analogicamente”, anche per i contratti ad uso non abitativo, “l’esclusione dalla tassazione, in presenza di un provvedimento giurisdizionale che accerti la morosità del conduttore”.


Il processo e la decisione

La questione fiscale nasceva dall’impugnazione dell’avviso di accertamento, a fronte del quale l’A.F. accertava la mancata dichiarazione – da parte del contribuente – del reddito “costituito dai canoni di locazione di un immobile commerciale”, riguardante l’anno di imposta 2008.

Nella propria tesi, il ricorrente difendeva la scelta di non aver indicato nella dichiarazione tale reddito, giacché era intervenuto il fallimento del conduttore.

Di contro, l’Ufficio evidenziava che l’art. 26 Tuir, stabilisce che i redditi fondiari concorrono a formare il reddito complessivo indipendentemente dalla percezione e, in particolare, solo i canoni dei fondi ad uso abitativo non sono tassati dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto (in questo caso del tutto assente).

In breve, come anticipato, la Commissione adita ha illustrato il seguente principio: “la norma che esclude la tassazione dei canoni di locazione degli immobili ad uso abitativo non percepiti non ha natura eccezionale”, dunque siffatto meccanismo deve operare anche per le altre tipologie di locazioni.

In buona sostanza, “solo tale interpretazione analogica pone al riparo la norma da censure di costituzionalità per violazione degli artt. 3 (principio di uguaglianza) e 53 Cost. (principio della capacità contributiva)”.

Non solo: secondo i citati giudici, “l’ammissione al passivo del fallimento del conduttore […] deve ritenersi equipollente alla convalida di sfratto come provvedimento giurisdizionale che attesta l’inadempimento” del conduttore.

  di Federico Marrucci
Avvocato Tributarista in Lucca e Pisa  (presso Studio Legale e Tributario Etruria)
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