Visualizzazioni totali

mercoledì 15 ottobre 2014

Professionisti: no alla presunzione di maggior reddito per i prelievi bancari Corte Costituzionale , sentenza 06.10.2014 n° 228.



Professionisti: no alla presunzione di maggior reddito per i prelievi bancari
Corte Costituzionale , sentenza 06.10.2014 n° 228.

Con l’importantissima sentenza 6 ottobre 2014, n. 228 la Corte Costituzionale ha finalmente dichiarato incostituzionale l’applicazione dell’art. 32, comma 1, numero 2), secondo periodo, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, come modificato dall’art. 1, comma 402, lettera a), numero 1), della Legge 30 dicembre 2004, n. 311, in relazione ai titolari di reddito di lavoro autonomo.

A tale decisione la Corte è giunta a seguito dell’ordinanza emessa dalla CTR Lazio n. 27/29/2013, con la quale i giudici tributari rimettevano la questione in merito, appunto, alla legittimità di applicazione di tale normativa anche ai liberi professionisti, e non solo ai titolari di reddito di impresa, dubitando della ragionevolezza della norma.
Come noto, infatti, l’art. 32 cit. al comma 1, numero 2), come modificato dall’art. 1 della Legge n. 311/2004, espressamente prevede “I dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti e rilevati rispettivamente a norma del numero 7) e dell'articolo 33, secondo e terzo comma, o acquisiti ai sensi dell'articolo 18 comma 3, lettera b), del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempre che non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell'ambito dei predetti rapporti od operazioni.”
Nello specifico, la Corte Costituzionale, dopo aver ricordato che l’art. 1 della Legge n. 311/2004 ha esteso la presunzione che riguardava unicamente gli imprenditori (limitata ai <<ricavi>>) anche all’ambito operativo dei lavoratori autonomi (inserendo anche i <<compensi>>), ha delineato due gruppi di censure meritevoli di pronuncia:
  • uno avente ad oggetto l’estensione della inversione dell’onere della prova e della presunzione de qua ai compensi dei lavoratori autonomi;
  • l’altro avente ad oggetto l’applicazione retroattiva della norma agli anni di imposta precedenti all’entrata in vigore della Legge n. 311/2004.
Con il primo gruppo di censure il giudice rimettente ha ritenuto sussistente la violazione dell’art. 53 della Costituzione oltre che dell’art. 3 Cost., rilevando che per il reddito da lavoro autonomo non varrebbero le correlazioni logico-presuntive tra costi e ricavi tipiche del reddito d’impresa.
Con il secondo gruppo di censure, invece, il giudice rimettente ha sostenuto che la disposizione impugnata, se applicata agli anni d’imposta in corso o anteriori alla novella legislativa, comporta la violazione dell’art. 24 della Costituzione, in quanto ai contribuenti professionisti viene addossato un onere probatorio imprevedibile ed impossibile da assolvere, nonché la violazione dell’art. 3, comma 2, della Legge 27 luglio 2000, n. 212, per violazione del principio del contradittorio.
A seguito di tali censure, la Corte Costituzionale ha, innanzitutto, chiarito che anche se le figure di imprenditore e lavoratore autonomo sono per molti versi affini, non è possibile equipararle per quanto attiene alla presunzione che il prelevamento dal conto bancario corrisponde ad un costo a sua volta produttivo di un ricavo.
Ciò perché l’attività dei lavoratori autonomi, a differenza degli imprenditori, si caratterizza per la prevalenza del proprio lavoro e la marginalità dell’apparato organizzativo, apparato che, peraltro, per alcune tipologie di lavoratori autonomi, nei quali è più accentuata la natura intellettuale, è quasi assente.
Ed ancora, la non ragionevolezza della presunzione è avvalorata dal fatto che gli eventuali prelevamenti si inseriscono in un sistema di contabilità semplificata - del quale per lo più si avvale la categoria – e, pertanto, da tale assetto contabile deriva la fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali.
Infine, l’esigenza di combattere l’evasione fiscale, ritenuta rilevante nel settore, è già stata sostenuta dalla normativa sulla tracciabilità dei movimenti finanziari che prevede che dal 1° gennaio 2014 vi è l’obbligo, anche se non sanzionato, di accettare pagamenti, di importo superiore a trenta euro, effettuati con carte di debito in favore di imprese e professionisti per l’acquisto di prodotti o per la prestazione di servizi.
Alla luce di tali argomentazioni, la Corte ha, quindi, correttamente affermato che <<nel caso di specie la presunzione è lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito>>, con conseguente dichiarazione di illegittimità dell’art. 32 comma 1, numero 2), secondo periodo, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, come modificato dall’art. 1, comma 402, lettera a), numero 1), della Legge 30 dicembre 2004, n. 311.

 (a cura) di Federico Marrucci

Avvocato Tributarista in Lucca e Pisa 
(presso Studio Legale e Tributario Etruria)
 per maggiori informazioni www.studioetruria.com

Fonte: www.altalex.com




lunedì 6 ottobre 2014

La prima casa non si tocca: l’abitazione è sacra, lo stabilisce la Cassazione (n° 19270/2014)

La prima casa non si tocca: l’abitazione è sacra, lo stabilisce la Cassazione

E’ tutto scritto nella sentenza della Suprema corte datata 12 settembre 2014, numero 19270, nella quale si stabilisce in maniera insindacabile come sia fatto di divieto assoluto in termini di legge pignorare la prima casa da parte di Equitalia o chi per lei.
La norma, in verità, esiste già ed è stata riaffermata anche di recente con i provvedimenti in materia di fisco varati dal governo Letta nel 2013. Ciò che la sentenza della terza sezione civile della Corte di Cassazione introduce, allora, è la validità della disposizione contenuta nel decreto del Fare anche per i procedimenti in corso.
In seguito alla presentazione delle novità inserite nel decreto del Fare, infatti, in data primo luglio 2013, l’ente deputato alla riscossione notava come l’applicazione in forma retroattiva della norma non fosse da adottare in maniera automatica, chiedendo lumi alle istituzioni. Un quesito a cui aveva risposto il Mef in audizione alla Camera durante un question time, affermando che la norma non avrebbe dovuto ritenersi retroattiva, rendendo così legittime le espropriazioni notificate prima del 21 giugno 2013, giorno di entrata in vigore del provvedimento.
 

La sentenza definitiva

A scacciare i fantasmi, oltre un anno dopo, ci ha pensato una volta per tutte la Cassazione, che ha determinato l’estensione della copertura anche per gli atti esecutivi in corso di realizzazione contro le abitazioni principali di cittadini in debito con il fisco.
L’articolo 52 del decreto del Fare è intervenuto a modificare l’articolo 76 del decreto presidenziale sulle espropriazioni immobiliari, secondo questo principio: “l’agente della riscossione: a) non dà corso all’espropriazione se l’unico immobile di proprietà del debitore, con esclusione delle abitazioni di lusso, (…) è adibito ad uso abitativo e lo stesso vi risiede anagraficamente”. Questa previsione, ha spiegato piazza Cavour nella nuova sentenza, va intesa come un freno alle operazioni di esproprio da parte dell’agente responsabile della riscossione, e non già come un generico richiamo all’impignorabilità. Ragione per cui la sua validità è estesa anche in maniera retroattiva per gli atti in esecuzione.
Così, viene a stabilirsi in maniera definitiva e assoluta come, per gli atti che intendono reclamare la casa al contribuente in difficoltà col fisco, “l’azione esecutiva non può più proseguire e la trascrizione del pignoramento va cancellata, su ordine del giudice dell’esecuzione o per iniziativa dell’agente di riscossione”.



(a cura) di Federico Marrucci
Avvocato Tributarista in Lucca e Pisa 
(presso Studio Legale e Tributario Etruria)

 per maggiori informazioni www.studioetruria.com

 Fonte: http://www.leggioggi.it/2014/09/23/cassazione-sentenza-equitalia-non-puo-pignorare-prime-case/