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venerdì 20 giugno 2014

In caso di esenzione Ici (D.L. n° 93/08), il contribuente non ha l’obbligo di dichiarazione dell’immobile, né della pertinenza (C.T.R. della Toscana, n° 127/17/14)



In caso di esenzione Ici (D.L. n° 93/08), il contribuente non ha l’obbligo di dichiarazione dell’immobile, né della pertinenza (C.T.R. della Toscana, n° 127/17/14)
E’ nullo l’avviso di accertamento con il quale il Comune contesta al contribuente l’omessa dichiarazione, nonché versamento Ici dell’immobile e della relativa pertinenza, per effetto dell’esenzione di tale tributo per l’anno di imposta 2008, come prevista dal D.L. n° 93/08.
A tali conclusioni è approdata la C.T.R. della Toscana con la pronuncia n° 127 depositata in data 23.01.2014.
 I fatti del processo
Il ricorrente, in primo grado, proponeva l’impugnazione avverso l’atto impositivo del Comune, a fronte del quale quest’ultimo addebitava l’inosservanza degli obblighi fiscali per l’anno di imposta 2008, ossia mancata dichiarazione ed omesso pagamento ai fini Ici sull’immobile, nonché sulla pertinenza.
Il contribuente, nei propri atti processuali, sosteneva il proprio diritto all’esenzione non solo al pagamento, ma anche alla dichiarazione della “prima casa” (e pertinenza), di cui al D.L. n° 93/08; il Comune osservava che in materia di Ici (anno 2008), indipendentemente dal regime agevolativo per l’esenzione, grava in ogni caso sul cittadino l’obbligo di dichiarazione di tali beni, suscettibili di esenzione.
La C.T.P. di Lucca (sentenza n° 130/13) accoglieva il ricorso del contribuente: contro la sentenza proponeva appello il Comune, il quale eccepiva la violazione e falsa applicazione del D.L. n° 93/08 e del D. Lgs. n° 504/92 (legge di istituzione dell’Ici).
La decisione
I giudici toscani, confermando la sentenza impugnata, hanno stabilito che la formulazione del D.L. n° 93/08 “fa ritenere che l’intento del legislatore fosse quello di sottrarre al campo di applicazione dell’Ici, l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo, conseguendone la totale inapplicabilità della disciplina dell’Ici, anche con riguardo agli adempimenti del contribuente”.
In buona sostanza - per analogia - trova applicazione, per l’esenzione concernente l’anno 2008, la disciplina generale in tema di Ici (D. Lgs. n° 504/92), a mente della quale è previsto l’obbligo della dichiarazione “degli immobili posseduti […] con esclusione di quelli esenti dall’imposta ai sensi dell’art. 7” (art. 10, comma 4). 

Sopra: l'articolo apparso sul quotidiano "Il Tirreno", il 26.02.2014

A ben vedere, la prima legge citata ha introdotto – come noto – l’esenzione dell’abitazione principale e della pertinenza ai fini Ici per l’anno di imposta 2008, mentre la seconda (in tema di versamento e dichiarazione Ici) stabilisce che “i soggetti passivi devono dichiarare gli immobili posseduti nel territorio dello Stato, con esclusione di quelli esenti dall’imposta ai sensi dell’art. 7, su apposito modulo”.
Ebbene, il contribuente aveva chiesto espressamente – nelle more dei due giudizi – la disapplicazione (art. 7, comma 5, D. Lgs. n° 546/92) della delibera comunale, giacché in contrasto con l’art. 10, comma 4 del D. Lgs. n° 504/92 e, di conseguenza, con l’art. 3 della Costituzione in tema di uguaglianza formale e divieto di disparità di trattamento dei cittadini, i quali versano nelle stesse condizioni giuridiche di esenzione.
In altre parole, nonostante la questione sia identica (esenzione Ici ed obblighi connessi) i soggetti passivi menzionati dall’art. 7 del D. Lgs. 504/92 non sono obbligati alla dichiarazione degli immobili esenti (abitazione principale e pertinenze), mentre – a parità di condizione – altri contribuenti (a cui è sempre riconosciuto l’esonero al pagamento Ici, ex D.L. 93/08) sono invece obbligati ad inviare la relativa dichiarazione.
Proprio su tale questione, i giudici della C.T.R. della Toscana hanno quindi osservato che “non può essere richiesto [al cittadino] alcun adempimento né riguardo alla dichiarazione né riguardo al versamento dell’imposta, estendendosi questo regime anche alle pertinenze”.
Di Federico Marrucci
Avvocato Tributarista in Lucca e Pisa (c/o Studio Legale e Tributario Etruria)


per maggiori informazioni www.studioetruria.com


mercoledì 11 giugno 2014

Se l’Amministrazione finanziaria promuove un’azione esecutiva illegittima, il contribuente ha diritto al risarcimento del danno, art. 2043 c.c. (Cass. n° 25855/2013)



Se l’Amministrazione finanziaria promuove un’azione esecutiva illegittima, il contribuente ha diritto al risarcimento del danno, art. 2043 c.c. (Cass. n° 25855/2013)

La Corte di Cassazione, in materia di applicabilità dell’art. 2043 c.c. alla condotta colposa o dolosa dell’Amministrazione finanziaria, ha stabilito con la pronuncia n° 25855/2013 che tale norma “potrebbe trovare il suo fondamento”, laddove il Fisco “abbia integrato gli estremi dell’illecito aquiliano, sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo”.

I fatti del processo

La controversia giudiziale nasceva dalla chiamata in giudizio del Ministero delle Finanze ad opera di un contribuente, il quale lamentava di aver subito un’espropriazione di due immobili (di sua proprietà), attivata a mezzo dell’esattore, su istanza dello stesso Ministero convenuto.

In particolare, l’azione esecutiva derivava da un accertamento sui redditi dichiarati dal coniuge della parte, risultanti dal Modello 740/83 sottoscritto, oltre che dal dichiarante, anche dall’attore, il quale veniva ritenuto solidalmente responsabile.

Successivamente, il contribuente (parte processuale) denunciava alla Procura della Repubblica la falsità della firma e, contestualmente, chiedeva al Tribunale competente la sospensione urgente dell’espropriazione attraverso le forme dell’art. 700 c.p.c. (tuttavia senza successo), nonché l’accertamento della falsità della firma mediante il procedimento della querela di falso (art. 221 c.p.c.).

In relazione a quest’ultimo processo, il contribuente otteneva la dichiarazione di falsità della sottoscrizione e l’ordine di “cancellazione”, con rimozione di ogni effetto ad essa correlata.

Ad ogni buon conto, nonostante l’accoglimento dell’azione giudiziaria per querela di falso, il processo esecutivo si era concluso con la vendita forzata dei due immobili precedentemente pignorati.

In definitiva, il contribuente chiedeva la condanna del Ministero delle Finanze al pagamento del risarcimento del danno, di cui all’art. 2043 c.c. per la accertata illegittimità della procedura esecutiva, atteso che, con la dichiarazione di falsità della firma riconducibile all’interessato, veniva a mancare il presupposto della responsabilità solidale per i debiti erariali del coniuge.

La decisione

I giudici ermellini, accogliendo la tesi del contribuente, hanno quindi osservato che nei rapporti Erario – contribuente trova operatività la normativa dell’art. 2043 c.c. (“qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”).

A ben vedere, con l’intervenuta caducazione del titolo esecutivo in forza del quale l’azione esecutiva era stata intrapresa dall’organo esattore, nasce l’esigenza di prevedere una equa tutela da assicurare al danneggiato innanzi all’invalidità dell’espropriazione.

Proprio su tale aspetto, la Suprema Corte ha precisato che, al fine di ottenere il risarcimento del danno, non è “sufficiente il solo accertamento dell’infondatezza della pretesa tributaria azionata in via esecutiva” (Cass. n° 16589/2005), ma è doveroso esaminare se nella condotta posta in essere dall’Amministrazione finanziaria sussistano le condizioni previste dalla normativa, ossia l’elemento oggettivo e quello soggettivo, ossia l’atteggiamento psicologico del danneggiante[1].


Di Federico Marrucci

Avvocato Tributarista in Lucca e Pisa (c/o Studio Legale e Tributario Etruria)

per maggiori informazioni www.studioetruria.com

[1] L’elemento soggettivo è rappresentato dall’analisi dell’azione del danneggiante, ovvero sia se è stata di tipo dolosa (aver agito con l’intenzione di cagionare l’evento dannoso) oppure colposa (violazione del dovere di diligenza, cautela, perizia nei confronti del danneggiato);