Professionisti:
no alla presunzione di maggior reddito per i prelievi bancari
Corte
Costituzionale , sentenza 06.10.2014 n° 228.
Con
l’importantissima sentenza 6 ottobre 2014, n. 228 la Corte Costituzionale ha
finalmente dichiarato incostituzionale l’applicazione dell’art. 32, comma 1,
numero 2), secondo periodo, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, come
modificato dall’art. 1, comma 402, lettera a), numero 1), della Legge
30 dicembre 2004, n. 311, in relazione ai titolari di reddito di
lavoro autonomo.
A tale
decisione la Corte è giunta a seguito dell’ordinanza emessa dalla CTR Lazio n.
27/29/2013, con la quale i giudici tributari rimettevano la questione in
merito, appunto, alla legittimità di applicazione di tale normativa anche ai
liberi professionisti, e non solo ai titolari di reddito di impresa, dubitando
della ragionevolezza della norma.
Come noto,
infatti, l’art. 32 cit. al comma 1, numero 2), come modificato dall’art. 1
della Legge n. 311/2004, espressamente prevede “I
dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti e rilevati
rispettivamente a norma del numero 7) e dell'articolo 33, secondo e terzo comma,
o acquisiti ai sensi dell'articolo 18 comma 3, lettera b), del decreto
legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, sono posti a base delle rettifiche e degli
accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non
dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad
imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse
condizioni sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse
rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto
beneficiario e sempre che non risultino dalle scritture contabili, i
prelevamenti o gli importi riscossi nell'ambito dei predetti rapporti od
operazioni.”
Nello
specifico, la Corte Costituzionale, dopo aver ricordato che l’art. 1 della Legge
n. 311/2004 ha esteso la presunzione che riguardava unicamente gli
imprenditori (limitata ai <<ricavi>>) anche all’ambito operativo
dei lavoratori autonomi (inserendo anche i <<compensi>>), ha
delineato due gruppi di censure meritevoli di pronuncia:
- uno avente ad oggetto
l’estensione della inversione dell’onere della prova e della presunzione de
qua ai compensi dei lavoratori autonomi;
- l’altro avente ad oggetto
l’applicazione retroattiva della norma agli anni di imposta precedenti
all’entrata in vigore della Legge n. 311/2004.
Con il primo
gruppo di censure il giudice rimettente ha ritenuto sussistente la violazione
dell’art. 53 della Costituzione oltre che dell’art. 3 Cost., rilevando che per
il reddito da lavoro autonomo non varrebbero le correlazioni logico-presuntive
tra costi e ricavi tipiche del reddito d’impresa.
Con il
secondo gruppo di censure, invece, il giudice rimettente ha sostenuto che la
disposizione impugnata, se applicata agli anni d’imposta in corso o anteriori
alla novella legislativa, comporta la violazione dell’art. 24 della
Costituzione, in quanto ai contribuenti professionisti viene addossato un onere
probatorio imprevedibile ed impossibile da assolvere, nonché la violazione
dell’art. 3, comma 2, della Legge
27 luglio 2000, n. 212, per violazione del principio del
contradittorio.
A seguito di
tali censure, la Corte Costituzionale ha, innanzitutto, chiarito che anche se
le figure di imprenditore e lavoratore autonomo sono per molti versi affini,
non è possibile equipararle per quanto attiene alla presunzione che il
prelevamento dal conto bancario corrisponde ad un costo a sua volta produttivo
di un ricavo.
Ciò perché
l’attività dei lavoratori autonomi, a differenza degli imprenditori, si
caratterizza per la prevalenza del proprio lavoro e la marginalità
dell’apparato organizzativo, apparato che, peraltro, per alcune tipologie di
lavoratori autonomi, nei quali è più accentuata la natura intellettuale, è
quasi assente.
Ed ancora,
la non ragionevolezza della presunzione è avvalorata dal fatto che gli
eventuali prelevamenti si inseriscono in un sistema di contabilità semplificata
- del quale per lo più si avvale la categoria – e, pertanto, da tale assetto
contabile deriva la fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese
professionali e personali.
Infine,
l’esigenza di combattere l’evasione fiscale, ritenuta rilevante nel settore, è
già stata sostenuta dalla normativa sulla tracciabilità dei movimenti
finanziari che prevede che dal 1° gennaio 2014 vi è l’obbligo, anche se non
sanzionato, di accettare pagamenti, di importo superiore a trenta euro,
effettuati con carte di debito in favore di imprese e professionisti per
l’acquisto di prodotti o per la prestazione di servizi.
Alla luce di
tali argomentazioni, la Corte ha, quindi, correttamente affermato che <<nel
caso di specie la presunzione è lesiva del principio di ragionevolezza nonché
della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi
ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo
siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività
professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito>>,
con conseguente dichiarazione di illegittimità dell’art. 32 comma 1, numero 2),
secondo periodo, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, come modificato
dall’art. 1, comma 402, lettera a), numero 1), della Legge
30 dicembre 2004, n. 311.
(a cura) di Federico Marrucci
Avvocato Tributarista in Lucca e Pisa
(presso Studio Legale e Tributario Etruria)
per maggiori informazioni www.studioetruria.com
Fonte: www.altalex.com