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mercoledì 24 dicembre 2014

Consigli pratici per il contribuente: come difendersi da Equitalia in caso di pignoramento della prima casa (Consiglio n° 1)



Consigli pratici per il contribuente: come difendersi dal pignoramento di Equitalia 

Consiglio n° 1

Può Equitalia pignorare l'immobile del contribuente?

Le ipotesi in cui l'immobile non può essere oggetto di pignoramento:





1) La casa è destinato ad uso abitativo (e non professionale, ad esempio destinato a studio di lavoro);


2) La casa è la residenza effettiva del contribuente (verificare sempre il certificato di residenza del Comune di appartenenza);

3) La casa è l'unico immobile di cui il contribuente è proprietario




4) La casa non è un immobile di lusso (villa - A/8, un castello o un palazzo di valore artistico o storico - A/9);



Da un punto di vista pratico, con l'azione esecutiva del pignoramento, Equitalia chiede al Tribunale, con apposita istanza, la c.d. vendita forzata dell'immobile.

Ovviamente, il divieto categorico di procedere con l'azione esecutiva (pignoramento immobiliare), come indicato nei punti 1 - 4, non esclude che Equitalia possa iscrivere ipoteca (relativamente a debiti superiori ad €. 20.000,00).

Con l'ipoteca, Equitalia ha una sorta di preferenza in caso di vendita dell'immobile (sul ricavato e la conseguente distribuzione), che si realizza sia a seguito di un'asta (giudiziaria), sia in caso di volontà del contribuente.



  di Federico Marrucci

Avvocato Tributarista in Lucca e Pisa 
(presso Studio Legale e Tributario Etruria)
 per maggiori informazioni www.studioetruria.com





































mercoledì 26 novembre 2014

Equitalia: preventivo contraddittorio obbligatorio anche prima di ipoteche e fermi (Cass., n° 19667/14)



Equitalia: contraddittorio obbligatorio prima di ipoteche e fermi

Equitalia non potrà più procedere all’ipoteca di un immobile o al fermo amministrativo di un contribuente inadempiente senza prima attivare il contraddittorio. È quanto sancito dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 19667/2014 del 18 settembre 2014.
La decisione
Tale sentenza ha una portata innovativa in quanto per la prima volta, in linea con quanto previsto dall’art.17 della Legge 212/2000 che ha esteso le garanzie dello Statuto dei diritti del contribuente ai concessionari della riscossione, si é giunti al riconoscimento dei medesimi diritti del contribuente davanti all’agente della riscossione.
La questione riguardava la necessità o meno di comunicare preventivamente al contribuente l’iscrizione di un’ipoteca immobiliare per debiti erariali non pagati. Tale obbligo, grazie alle modifiche normative introdotte dal DL 70/2011, é oggi normativamente imposto. La sentenza in oggetto ha ritenuto che tale obbligo fosse già vigente prima della importante modifica normativa del DL 70/2011, questo in forza della Legge n. 241/1990 e dello Statuto del Contribuente.
L’art.21 della Legge n. 241/1990 prevede un obbligo generalizzato di comunicazione dei provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei destinatari, e l’iscrizione ipotecaria costituisce fuor di dubbio un atto che limita fortemente la sfera giuridica del contribuente. L’art. 6 dello Statuto del Contribuente, a sua volta, prevede che debba essere garantita l’effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati.
La Comunicazione deve quindi necessariamente precedere la concreta effettuazione dell’iscrizione ipotecaria, poiché tale comunicazione é strutturalmente funzionale a consentire il reale ed effettivo esercizio del diritto di difesa del contribuente.
Qualora Equitalia non dovesse seguire questo iter, la decisione potrebbe essere considerata lesiva nei confronti del debitore e quindi l’atto potrebbe risultare nullo.
Le medesime regole operano per il fermo amministrativo: deve essere sempre preceduto da un invito a fornire chiarimenti entro 30 giorni. Si segnala che dal 21 agosto 2013, data di entrata in vigore della Legge n. 98/2013, il fermo é per legge preceduto dalla notifica di un preavviso di fermo, contenente l’invito a pagare entro 30 giorni. Ora, con la sentenza n. 19667 della Cassazione, l’obbligo di notificare il preavviso deve ritenersi efficace anche prima di questa data.

Fonte: http://www.fisco7.it/2014/11/equitalia-contraddittorio-obbligatorio-prima-di-ipoteche-e-fermi/  

 (a cura) di Federico Marrucci

Avvocato Tributarista in Lucca e Pisa 
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venerdì 21 novembre 2014

Prescrizione delle multe: consigli per il contribuente contro Equitalia

Prescrizione delle multe: consigli per il contribuente
contro Equitalia


Anche le multe hanno una data di scadenza, i termini di prescrizione di una sanzione amministrativa sono regolamentati dall’art. 209 del Codice della Strada. La scadenza del “diritto a riscuotere le somme dovute a titolo di sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni previste dal presente codice è regolata dall’art. 28 della legge 24 novembre 1981, n. 689″. Legge che fissa a 5 anni, calcolati dal giorno in cui è stata commessa la violazione, il termine di prescrizione di una sanzione amministrativa.


Termini di prescrizione e trasmissione di ruolo: differenze

Negli ultimi anni intorno alla tematica si è generata non poca confusione, dovuta essenzialmente alla modifica di alcune norme del CdS e di una “semplificazione” prevista dalla finanziaria del 2008. Interpretazioni errate hanno convinto molti automobilisti che il termine di prescrizione fosse sceso a soli 2 anni. L’equivoco nasce dalla cattiva interpretazione del comma 153 dell’art.1 della Finanziaria del 2008 che fissa, a partire dal 1° gennaio 2008, che “gli agenti della riscossione non possono svolgere attività finalizzate al recupero di somme, di spettanza comunale, iscritte in ruoli relativi a sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada per i quali, alla data dell’acquisizione di cui al comma 7, la cartella di pagamento non era stata notificata entro due anni dalla consegna del ruolo. La messa a ruolo per le infrazioni stradali scatta se il mancato pagamento non avviene entro il termine di 60 giorni successivi dalla consegna della cartella di pagamento.”

Due anni per la presentazione delle cartella recupero crediti

La norma quindi non riduce i termini di prescrizione delle multe, ma semplicemente impone al soggetto addetto alla riscossione di notificare la cartella di pagamento entro i due anni dalla ricezione del ruolo. Due anni che vanno conteggiati dal giorno in cui avviene la trasmissione di ruolo, che il Comune realizza con il soggetto prescelto alla riscossione, non dal giorno in cui viene effettua la violazione o da quello di  notificata della contravvenzione.
I termini fissati della finanziaria del 2008, necessari a sveltire i tempi di riscossione dei crediti,  regolamentano esclusivamente il rapporto tra i Comuni e i concessionari del servizio riscossione. Quindi la prescrizione dei crediti di chi viene multato non subisce nessuno modifica.


Prescrizione? Capiamoci qualcosa di più

Un altro chiarimento va fatto riguardo l’interruzione della prescrizione. Con il termine prescrizione si indica il periodo massimo entro il quale deve essere formalmente richiesto, dal Comune o da chi per esso, il pagamento. Quindi, ogni volta che il pagamento dei crediti viene richiesto formalmente il termine di prescrizione ricomincia a decorrere.
Quest’interruzione avviene automaticamente quando al debitore, il soggetto che dovrà pagare la multa, viene notificata una richiesta di pagamento. Una cartella esattoriale, un avviso di intimazione, un preavviso di fermo amministrativo, un avviso di iscrizione di ipoteca, ma anche una semplice richiesta di pagamento inviata tramite raccomandata interromperà il termine di prescrizione della sanzione.

Fonte: http://www.6sicuro.it/auto/prescrizione-multe#.VG9VyuyaEOU.email 

(a cura) di Federico Marrucci

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mercoledì 15 ottobre 2014

Professionisti: no alla presunzione di maggior reddito per i prelievi bancari Corte Costituzionale , sentenza 06.10.2014 n° 228.



Professionisti: no alla presunzione di maggior reddito per i prelievi bancari
Corte Costituzionale , sentenza 06.10.2014 n° 228.

Con l’importantissima sentenza 6 ottobre 2014, n. 228 la Corte Costituzionale ha finalmente dichiarato incostituzionale l’applicazione dell’art. 32, comma 1, numero 2), secondo periodo, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, come modificato dall’art. 1, comma 402, lettera a), numero 1), della Legge 30 dicembre 2004, n. 311, in relazione ai titolari di reddito di lavoro autonomo.

A tale decisione la Corte è giunta a seguito dell’ordinanza emessa dalla CTR Lazio n. 27/29/2013, con la quale i giudici tributari rimettevano la questione in merito, appunto, alla legittimità di applicazione di tale normativa anche ai liberi professionisti, e non solo ai titolari di reddito di impresa, dubitando della ragionevolezza della norma.
Come noto, infatti, l’art. 32 cit. al comma 1, numero 2), come modificato dall’art. 1 della Legge n. 311/2004, espressamente prevede “I dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti e rilevati rispettivamente a norma del numero 7) e dell'articolo 33, secondo e terzo comma, o acquisiti ai sensi dell'articolo 18 comma 3, lettera b), del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempre che non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell'ambito dei predetti rapporti od operazioni.”
Nello specifico, la Corte Costituzionale, dopo aver ricordato che l’art. 1 della Legge n. 311/2004 ha esteso la presunzione che riguardava unicamente gli imprenditori (limitata ai <<ricavi>>) anche all’ambito operativo dei lavoratori autonomi (inserendo anche i <<compensi>>), ha delineato due gruppi di censure meritevoli di pronuncia:
  • uno avente ad oggetto l’estensione della inversione dell’onere della prova e della presunzione de qua ai compensi dei lavoratori autonomi;
  • l’altro avente ad oggetto l’applicazione retroattiva della norma agli anni di imposta precedenti all’entrata in vigore della Legge n. 311/2004.
Con il primo gruppo di censure il giudice rimettente ha ritenuto sussistente la violazione dell’art. 53 della Costituzione oltre che dell’art. 3 Cost., rilevando che per il reddito da lavoro autonomo non varrebbero le correlazioni logico-presuntive tra costi e ricavi tipiche del reddito d’impresa.
Con il secondo gruppo di censure, invece, il giudice rimettente ha sostenuto che la disposizione impugnata, se applicata agli anni d’imposta in corso o anteriori alla novella legislativa, comporta la violazione dell’art. 24 della Costituzione, in quanto ai contribuenti professionisti viene addossato un onere probatorio imprevedibile ed impossibile da assolvere, nonché la violazione dell’art. 3, comma 2, della Legge 27 luglio 2000, n. 212, per violazione del principio del contradittorio.
A seguito di tali censure, la Corte Costituzionale ha, innanzitutto, chiarito che anche se le figure di imprenditore e lavoratore autonomo sono per molti versi affini, non è possibile equipararle per quanto attiene alla presunzione che il prelevamento dal conto bancario corrisponde ad un costo a sua volta produttivo di un ricavo.
Ciò perché l’attività dei lavoratori autonomi, a differenza degli imprenditori, si caratterizza per la prevalenza del proprio lavoro e la marginalità dell’apparato organizzativo, apparato che, peraltro, per alcune tipologie di lavoratori autonomi, nei quali è più accentuata la natura intellettuale, è quasi assente.
Ed ancora, la non ragionevolezza della presunzione è avvalorata dal fatto che gli eventuali prelevamenti si inseriscono in un sistema di contabilità semplificata - del quale per lo più si avvale la categoria – e, pertanto, da tale assetto contabile deriva la fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali.
Infine, l’esigenza di combattere l’evasione fiscale, ritenuta rilevante nel settore, è già stata sostenuta dalla normativa sulla tracciabilità dei movimenti finanziari che prevede che dal 1° gennaio 2014 vi è l’obbligo, anche se non sanzionato, di accettare pagamenti, di importo superiore a trenta euro, effettuati con carte di debito in favore di imprese e professionisti per l’acquisto di prodotti o per la prestazione di servizi.
Alla luce di tali argomentazioni, la Corte ha, quindi, correttamente affermato che <<nel caso di specie la presunzione è lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito>>, con conseguente dichiarazione di illegittimità dell’art. 32 comma 1, numero 2), secondo periodo, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, come modificato dall’art. 1, comma 402, lettera a), numero 1), della Legge 30 dicembre 2004, n. 311.

 (a cura) di Federico Marrucci

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Fonte: www.altalex.com




lunedì 6 ottobre 2014

La prima casa non si tocca: l’abitazione è sacra, lo stabilisce la Cassazione (n° 19270/2014)

La prima casa non si tocca: l’abitazione è sacra, lo stabilisce la Cassazione

E’ tutto scritto nella sentenza della Suprema corte datata 12 settembre 2014, numero 19270, nella quale si stabilisce in maniera insindacabile come sia fatto di divieto assoluto in termini di legge pignorare la prima casa da parte di Equitalia o chi per lei.
La norma, in verità, esiste già ed è stata riaffermata anche di recente con i provvedimenti in materia di fisco varati dal governo Letta nel 2013. Ciò che la sentenza della terza sezione civile della Corte di Cassazione introduce, allora, è la validità della disposizione contenuta nel decreto del Fare anche per i procedimenti in corso.
In seguito alla presentazione delle novità inserite nel decreto del Fare, infatti, in data primo luglio 2013, l’ente deputato alla riscossione notava come l’applicazione in forma retroattiva della norma non fosse da adottare in maniera automatica, chiedendo lumi alle istituzioni. Un quesito a cui aveva risposto il Mef in audizione alla Camera durante un question time, affermando che la norma non avrebbe dovuto ritenersi retroattiva, rendendo così legittime le espropriazioni notificate prima del 21 giugno 2013, giorno di entrata in vigore del provvedimento.
 

La sentenza definitiva

A scacciare i fantasmi, oltre un anno dopo, ci ha pensato una volta per tutte la Cassazione, che ha determinato l’estensione della copertura anche per gli atti esecutivi in corso di realizzazione contro le abitazioni principali di cittadini in debito con il fisco.
L’articolo 52 del decreto del Fare è intervenuto a modificare l’articolo 76 del decreto presidenziale sulle espropriazioni immobiliari, secondo questo principio: “l’agente della riscossione: a) non dà corso all’espropriazione se l’unico immobile di proprietà del debitore, con esclusione delle abitazioni di lusso, (…) è adibito ad uso abitativo e lo stesso vi risiede anagraficamente”. Questa previsione, ha spiegato piazza Cavour nella nuova sentenza, va intesa come un freno alle operazioni di esproprio da parte dell’agente responsabile della riscossione, e non già come un generico richiamo all’impignorabilità. Ragione per cui la sua validità è estesa anche in maniera retroattiva per gli atti in esecuzione.
Così, viene a stabilirsi in maniera definitiva e assoluta come, per gli atti che intendono reclamare la casa al contribuente in difficoltà col fisco, “l’azione esecutiva non può più proseguire e la trascrizione del pignoramento va cancellata, su ordine del giudice dell’esecuzione o per iniziativa dell’agente di riscossione”.



(a cura) di Federico Marrucci
Avvocato Tributarista in Lucca e Pisa 
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 Fonte: http://www.leggioggi.it/2014/09/23/cassazione-sentenza-equitalia-non-puo-pignorare-prime-case/